Juan Emar (1983-1964), eccentrico scrittore cileno, anche pittore, propone un romanzo-mondo –Umbral (in italiano: Soglia)- che appare una sfida al lettore e all’interprete. Juan Emar -pseudonimo derivato dal francese “Je n’ai marre”: sono stufo, ne ho fin sopra i capelli di recensori che non recesiscono e di interpreti che male interpretano- giunto attorno ai quarantacinque anni decide di non pubblicare più un rigo, ma di dedicare comunque la propria vita alla scrittura. Scrive per venticinque anni, fino alla propria morte, l’Umbral, 5318 pagine dattiloscritte. Il romanzo è pubblicato in versione completa solo nel 1996.
Si tratta di un testo che si propone di beffare ogni tentativo di interpretazione. Possiamo sostenere che Juan Emar vince la sua guerra con i critici.
Ma la situazione cambia se il critico e il lettore dispongono del codice digitale – una ‘forma del testo’ che Juan Emar non poteva concepire.
Ciò è già evidente se ci avviciamo al testo attraverso quella versione banale e impoverita del codice digitale che è il formato pdf.
Per questa via, si può mettere a fuoco la figura di un critico letterario capace di usare autonomamente le possibilità interpretative offerte dal codice digitale. Qualcosa di diverso sia dalla linguistica computazionale, sia dalla mera rappresentazione standardizzata di testi in forma digitale (TEI). Il ‘critico digitale’ è un bricoleur: di fronte ad ogni testo inventa soluzioni interpretative contingenti utilizzando e adattando strumenti differenti.